
Estratto dal racconto “Il ballo del diavolo
Sospirai sollevata, presi la brocca, la poggiai sulla scrivania, poi mi versai da bere in un bicchiere per lo scotch. Bevvi avidamente e lo riempii di nuovo, buttai giù e lo riempii per la terza volta. Feci per portarmelo alla bocca, quando fui attratta da un documento che spuntava fuori da uno dei cassetti che avevo lasciato aperto. Era un articolo di giornale, corredato da una foto di Gabriel e una di suo fratello James.
Incuriosita, lo presi. Potrebbe essere una notizia interessante. Pensai. Potrebbe riguardare la casa o l’eredità o…
I miei pensieri s’interruppero bruscamente. Il bicchiere mi cadde di mano e andò in mille pezzi sul pavimento. Mi portai una mano alla bocca mentre i miei occhi, vitrei, terrorizzati, non riuscivano a staccarsi da quello che stavo leggendo.
Non era possibile. Non poteva essere vero.

Estratto dal racconto “Figlia della luna”
Da allora, non appena spuntava la luna, lei si svegliava e giocava ridendo, correva veloce nei boschi, esplorava nuovi luoghi, danzava con le altre creature. Si muoveva leggera, quasi senza toccare terra, amava nascondersi e fare scherzi, le sue risate flebili e cristalline risuonavano spesso in tutta la vallata. Diventava più luminosa man mano che la luna si alzava in cielo e sempre più diafana quando nasceva il sole. Di giorno si coricava nei tronchi cavi o nel sottobosco nel cuore delle foreste, dove nessuno potesse mai trovarla.
La sua vita trascorreva così, nell’amata solitudine e nella libertà, finché un giorno qualcosa cambiò.

Estratto dal racconto “Il viaggiatore”
Ho odiato questo treno da sempre, da quando lo vedevo portar via mio padre per settimane, a volte mesi. Mia madre era morta quando ero molto piccolo e, anche se volevo bene alla zia che mi accudiva, avevo bisogno di lui. Odiavo la stazione e quel vuoto che faceva nascere dentro di me. Odiavo il grigiore metallico della struttura, la desolazione dei binari vuoti, le facce tristi e stanche dei viaggiatori. Odiavo ogni cosa, perché per me aveva il sapore amaro della solitudine. Non ho mai desiderato salire su uno di quei treni, eppure mio padre continuava a ripetermi che un giorno mi avrebbe portato con sé e che solo quel giorno sarei riuscito a capire.

Estratto dal racconto “La ricamatrice”
Non ricordo più il mio nome. Né la mia casa, né quanti anni ho.
Sono poche le cose che la mia mente non ha ancora cancellato e si presentano dentro i miei ricordi come sbavature inconsistenti, qualcosa di sfuggevole, inafferrabile e talmente antico da non riuscire a distinguere se sia un ricordo o solo un sogno.
Non ricordo chi ero, ho solo immagini confuse di momenti della mia vita passata o caratteristiche preziose di ciò che ero stata: una chioma bionda fluente, un vestito leggero, una corsa ridendo del bosco, una mano che mi stringe.
Non ricordo chi ero, ma so chi sono adesso e come lo sono diventata.

Estratto dal racconto “La guerra dei Giganti”
Era difficile comprendere, impossibile arrivare ad una risposta. Sono certo che la sua testa si era popolata di immagini che si susseguivano l’una dietro l’altra. Immagini di bellezza e amore, di distruzione e follia.
Avevamo ucciso la Terra, Madre di tutto, che tanto aveva donato e che ora non respirava più, soffocata dai suoi stessi figli.
Sapevo che Una aveva bisogno di più tempo per elaborare, ma era sceso il crepuscolo, e una linea nera avanzava dal deserto verso l’Area Sacrale, illuminandosi la strada con fiaccole e lampade ad olio. Erano arrivati gli invasori, ma Una era immobile, non sembrava allarmata. C’era in lei qualcosa di diverso, ma non sapevo dire che cosa.

Estratto dal racconto “Cappuccetto”
Il mio cervello ha staccato la spina, non ragiono più, mi lascio guidare dall’istinto e da lui. Sento il mio vestito strapparsi e cadere a terra. Il suo respiro si mescola al mio, i suoi baci sono famelici come quelli di un lupo e i suoi denti affilati affondano nella mia carne come a volermi divorare. Siamo a terra, i nostri corpi s’intrecciano, sono in balia di sensazioni vibranti, mai provate prima d’ora; i suoi occhi intrappolano la mia mente, le sue braccia m’impediscono di fuggire. Mi sento una preda nelle fauci di un lupo, sto infrangendo ogni sorta di tacita regola, ma per la prima volta ho fatto una scelta solo mia.

Estratto dal racconto “I cacciatori di fate”
Caro Diario,
Sono di nuovo in clinica. Ultimamente faccio spesso il turno di notte, non che mi dispiaccia visto che l’ho richiesto io… è solo che devo studiare e non ho ancora trovato il tempo. Le giornate sono sempre lunghe e ho molte cose da fare, ma non mi pento neanche un secondo della mia scelta. Mi sono sempre chiesta come mai mi piacesse tanto lavorare in mezzo ai matti. Sul serio, una ventenne giovane e fresca che cavolo ci fa in una clinica di malati mentali?
Non so darmi una risposta precisa… so solo che c’è qualcosa di affascinante qui, rispetto al resto del mondo. Fuori la vita scorre velocissima nei suoi ritmi frenetici, il giorno e la notte si susseguono senza tregua, il tempo sfugge via dalle dita. Qui, invece, è tutto diverso. È un’altra realtà, dilatata, confusa. Il tempo è poroso, relativo, impossibile da misurare. A volte ci sono attimi che durano all’infinito, altre invece non mi accorgo che fuori è già notte. Si respira un altro tipo di vita, fatta di sogni, illusioni e anche, purtroppo, dolore. Eppure c’è qualcosa qui che mi attrae.